“Il comparare è la fine della felicità e l’inizio dell’insoddisfazione”
Sören Kierkegaard
I ritmi delle nostre giornate sono spesso molto intensi: il lavoro, la casa, la famiglia e le piccole e grandi preoccupazioni di tutti i giorni.
Dopo una giornata di lavoro e di incombenze a cui tener dietro si è naturalmente stanchi, e non si vede l’ora di tornare a casa per riposarci. Lo stress fisico si fa sentire e ciascuno di noi trova il modo per ricaricarsi, con il riposo oppure con una passeggiata per scaricare la tensione accumulata. Se accade che ci rimettiamo in forma dall’affaticamento fisico, così facendo, non si può dire di trovare oltremodo sollievo alla stanchezza psicologica.
I sintomi di questo tipo di stanchezza sono spesso sonnolenza o disturbi del sonno, dolori muscolari, debolezza fisica, rifiuto o incapacità ad assolvere anche a piccole mansioni quotidiane, riduzione dell’attività fisica (che paradossalmente non riduce la stanchezza, ma la fa aumentare), ansia e tristezza.
Le persone che possono facilmente incorrere in questo tipo di disagio, sono spesso perfezioniste, uomini e donne abituati ad alti standard, che non si permettono di abbassare la guardia dai loro obiettivi e dalle aspettative, fin troppo alte, nei confronti di sé stessi. Non si lasciano andare all’emotività, ma anzi spesso somatizzano ciò che le emozioni stanno cercando di comunicare loro. Negano le proprie esigenze, a fronte di ciò che “devono”. E quando, per stanchezza appunto, non sono più al top come “dovrebbero”, si ingenera in loro un fastidioso senso di fallimento.
Al contrario ci son persone la cui espressione del volto, o la postura del corpo, fanno pensare a uno stato di compressione. Piene di aspettative, di illusioni, di speranze, poche di queste però si trasformano in progetti e diventano azione. Spesso incapaci a calarsi nel flusso della vita, per sfiducia nelle proprie capacità e il timore di mettersi alla prova. Vivono in una routine di cui sembrano essere spettatori, o come burattini, di cui son altri a muovere i fili: si dedicano a cose che son le uniche che conoscono, non perchè le abbiano scelte: le energie destinate alla vita e non spese si accumulano determinando uno stato di malessere psicofisico e una sensazione di tensione e di smania insopportabile.
Ripetere ogni giorno le stesse azioni, senza sentirsi per questo valorizzati o con la sensazione che non sia mai abbastanza, comporta una frustrazione che piano piano ci fa sentire inutili, stanchi, senza energie. L’ansia contribuisce all’infelicità.
Il comune denominatore quindi in questo tipo di stanchezza mentale, psicologica sembra essere l’insoddisfazione. E’ l’insoddisfazione che sta sotto, molto spesso, alla stanchezza, come forma mentale.
L’insoddisfazione può avere quindi effetti sul corpo e sulla mente, per cui non va sottovalutata, ma bensì riconosciuta e affrontata per trasformarla in un motore positivo per il nostro benessere. In una società dove tutto è potenzialmente possibile ma poco è effettivamente raggiungibile per i più, il terreno è molto fertile per una epidemia di massa di insoddisfatti cronici.
L’insoddisfazione è la sensazione generata dalla frustrazione dei nostri bisogni e desideri irrealizzati, un senso di mancanza, un gap tra ciò che vorremmo provare e ciò che proviamo. L’insoddisfazione è l’assenza o la scarsa presenza di piacere nella nostra vita. E questo accomuna, come abbiamo visto, sia chi non ascolta quelli che sono in realtà i propri bisogni, preso come è dal senso del dovere e dalla mania della perfezione, che chi, al contrario, non ha mai coltivato le sue vere aspirazioni, non credendo in sé stesso.
Le principali forme di insoddisfazione sono collegate alla natura dei bisogni umani:
- non sentirsi realizzati nei ruoli professionali e in quelli privati
- non sentirsi importanti
- non sentirsi amati o di appartenere
- non avere una vita stimolante e varia
- non soddisfare i bisogni primari (sessuali, deprivazione sensoriale etc.)
Le cause principali che ci portano a essere insoddisfatti sono:
- un problema invalidante ci impedisce di inseguire le nostre ambizioni
- modelli educativi inadeguati ( spesso i genitori ma anche la società, la televisione) che hanno programmato le nostre credenze con pochi permessi e molti divieti
- un ambiente poco stimolante (che non ha permesso di creare la giusta fiducia in sé stessi)
- un ambiente troppo competitivo (che ha alimentato aspettative altrui piuttosto che le proprie autentiche)
- carenza di capacità o conoscenze che ci renderebbero possibile la soddisfazione dei nostri desideri
Tutto questo porta molte volte ad un aspro conflitto tra la nostra parte razionale e quella emotiva.
Quando ci viene proibito (da parti di noi o da altri) o reso difficoltoso e addirittura inaccettabile il poter gratificare le nostre voglie, i nostri piaceri, ecco che spunta l’insoddisfazione.
Essa si trasforma in passività, e poi in depressione, quando il conflitto non viene risolto attraverso i tentativi messi in atto, consapevoli o meno, e questi, pur non funzionando, vengono reiterati nel tempo invece che interrotti. Chi si trova in una simile situazione assume spesso la posizione di vittima, alimentando così il circolo vizioso di non potere, non riuscire, a far nulla che soddisfi veramente, ingigantendo la sensazione cronica di stanchezza e di fallibilità.
Sia per chi è spento dal timore stesso di mettersi alla prova, e consuma il suo presente, rassegnato, come se fosse l’unico a cui è destinato, sia per chi non sa appagarsi , qualunque sia il punto cui arriva, è bene ricordare che una quota di insoddisfazione è fisiologica nell’essere umano. Potremmo dire che il paradosso dell’essere umano è quello di potersi sentire soddisfatto solo quando è anche un pò insoddisfatto in quanto solo così ci è possibile evolvere costantemente.
Solo riconoscendo di essere insoddisfatti, solo comprendendo che la nostra stanchezza della routine, della vita, degli impegni, è frutto di ciò che veramente vorremmo, ma non ci concediamo, solo così possiamo porre le basi per iniziare un percorso di crescita e di riscoperta, che può portare poi alla vera realizzazione di sé.
Conoscere le nostre reali aspirazioni e porsi pochi e piccoli obiettivi raggiungibili, ci può aiutare a sperimentare quel senso di efficacia, motore per nuove azioni, e nuovi obiettivi da raggiungere. Purché misurati sulla nostra autenticità.