Cosa è la libertà di essere se stessi? Come si raggiunge e come si compromette?
La capacità di vivere in modo autentico e creativo, di stabilire relazioni interpersonali e sociali significative e soddisfacenti e di raggiungere una reale indipendenza, sinonimo di maturità adulta, non è un fatto scontato, bensì il risultato di un processo di crescita e maturazione, che inizia nella primissima infanzia, quando vengono poste le basi per la formazione del Sé, ovvero della nostra personalità.
Come ci insegna lo psicoanalista Donald Winnicott, la sviluppo dell’identità prende le mosse dai primi stadi dello sviluppo infantile, quando il bambino trova nel suo ambiente una accettazione ed un rispecchiamento dei suoi bisogni, dei suoi desideri ed in sostanza del suo modo di essere. Se questo non avviene, o qualcosa si inceppa in questa delicata alchimia, può accadere che il bambino cresca assecondando i bisogni ed i desideri degli altri (perchè magari si accorge che solo così facendo viene apprezzato, riconosciuto e gratificato…). Il bambino ed il futuro adulto prende inconsapevolmente la decisione di accondiscendere alle richieste altrui, fondando così su ciò il proprio senso di identità. Se questo è l’unico modo sperimentato dal bambino per assicurarsi la vicinanza e l’affetto delle figure di riferimento è perché queste ultime si trovano in evidente difficoltà psicologica e non riescono, loro malgrado, a fornire contenimento e convalida ai suoi stati emotivi. Questa modalità patologica di sviluppo dell’identità è definita da Winnicott come falso sé.
Diventati adulti, questi ex bambini che non si sono più sperimentati nella scoperta e nella sperimentazione di sé stessi, ma nella ricerca di assomigliare ad un ideale imposto o autoimposto, finiscono letteralmente per non sapere più chi sono, incapaci di contattare desideri e bisogni autentici diventando così schiavi del giudizio socialee dell’approvazione altruie incapaci di accedere ad un’autentica dimensione di desiderio e di intimitàrelazionale.
La tendenza inconsapevole è quella di costruirsi una maschera, a cui si finisce per assomigliare. Queste persone possono apparire esteriormente ben adattati alla realtà e addirittura possono eccellere in uno o più ambiti.
L’accondiscendenza e la spiccata sensibilità al giudizio e ai desideri altrui esprimono tratti di personalità che si ritrovano in tutti, anche nelle personalità che funzionano ad alto livello, ma rappresentano un problema patologico quando sono l’unico e rigido criterio su cui si fonda il senso di identità: nel falso sépropriamente descritto da Winnicott non c’è una semplice acquiescenza al volere altrui, ma ci si identifica con tale voleresenza essere più in grado di contattare una dimensione autonoma, libera e autentica di volontà e di desiderio.
Nello sviluppo del sé si è verificato un blocco: ad un occhio attento tale blocco potrebbe parlare attraverso piccoli segnali corporei di rigidità o di malessere, oppure potrebbe non sviluppare sintomi franchi, se non la drammatica sensazione, ad un certo punto della propria vita di sentirsi in una gabbia.
La sofferenza di una persona con un problema di identità necessita di un ambiente relazionale empatico e rispecchiante – quale quello della relazione terapeutica – per completare un processo di crescita e maturazione psicoaffettiva.