Molte volte mi son vista porre dai miei pazienti, alle prime sedute, questa domanda. Oppure mi è capitato di incontrare persone che si accostassero alla psicoterapia e a me, come psicoterapeuta, come alla panacea di tutti i loro affanni, come se portassero nella stanza della terapia la loro bisaccia di pesi, afflizioni e, nel tentativo di svuotarla, avessero la speranza che quella persona dinanzi a loro conoscesse chissà quale formula magica contro le loro sofferenze. Per rassicurare gli scettici e per dare valore alla responsabilità personale di ciascun paziente nella propria terapia e quindi nel processo di cura, ho pensato di descrivere brevemente cosa sia il cambiamento in psicoterapia.
Spesso i termini cambiamento e guarigione vengono confusi. Berne specifica che il terapeuta non guarisce nessuno (Berne, 1966) ma può effettuare il trattamento in modo che il potenziale curativo del paziente si metta in moto. Ritengo che il terapeuta non debba avere come scopo quello di far cambiare il paziente ma aiutarlo a far riemergere il potere che ha in sé di cambiare.
Come diceva Galileo, “Non puoi insegnare qualcosa ad un uomo. Puoi solo aiutarlo a scoprirla dentro di sè”.
Ritengo che questa frase possa essere la sintesi di ciò che fa il processo di cambiamento della psicoterapia.
Considero il cambiamento qualcosa alla portata di tutti e mi è molto cara l’immagine di Berne (Berne, 1966) che definisce gli esseri umani come principi o principesse che hanno avuto esperienze che li hanno convinti che in realtà fossero dei ranocchi. L’obiettivo della terapia secondo il nostro modello quindi consiste nel “curare” o “guarire”, cioè togliersi la pelle del ranocchio e intraprendere nuovamente lo sviluppo interrotto del principe o della principessa. Compito del terapeuta è quello di dare al paziente il permesso di farlo, cioè di diventare ciò che aveva cominciato a diventare.
Un’altra metafora berniana che mi è cara, relativamente al processo di cura o cambiamento della psicoterapia è quella della “licenza di pesca”. Tale metafora definisce anche il ruolo del terapeuta in questo processo: egli infatti ha il compito di dare al suo paziente la licenza di pesca, insegnandogli a pescare, piuttosto che a procurargli i pesci. Ecco, questo è il grande potere che il terapeuta da al suo paziente: metterlo nelle condizioni di essere lui stesso l’artefice dei suoi cambiamenti, dei suoi progressi e del suo “bottino di pesca”.
Il cambiamento non può essere inteso come un processo di tutto o nulla, ma deve essere inteso come un progredire del paziente dal polo del copione verso il polo dell’autonomia.
L’autonomia secondo Berne si conquista quando si recuperano la consapevolezza, la spontaneità e l’intimità.
Per consapevolezza si intende sapere cosa sta accadendo ora, cioè essere in contatto con il presente senza filtrarlo attraverso esperienze passate, ma valutando la realtà in maniera indipendente. La consapevolezza presume che tutti e tre gli stati dell’Io (Genitore, Adulto e Bambino) siano in grado di percepire i dati contenuti nel loro interno e di osservare ciò che succede nella realtà esterna senza confondere i due livelli. Le persone consapevoli sanno dove stanno, cosa stanno facendo e quali sentimenti provano in proposito.
Per spontaneità si intende la capacità di reagire in modo libero, scegliendo tra tutta la gamma delle sensazioni, dei pensieri e dei comportamenti, imparando ad esplorare modi nuovi di pensare, sentire ed agire.
Infine per intimità si intende la capacità di condividere liberamente le emozioni, i pensieri e i comportamenti con un’altra persona. La persona autonoma è quella che è in grado di affrontare il rischio dell’amicizia e dell’intimità.
In un approccio che considera fondamentale l’ autonomia del paziente, questi ha un ruolo adulto e consapevole nel cambiamento. Infatti il processo di cambiamento può avvenire solo se il cliente sente il bisogno o il desiderio di cambiare. Il cliente deve rendersi conto che è possibile cambiare e deve essere attivamente coinvolto in quello che sta accadendo nel processo terapeutico.