L’incontro di due persone è l’incontro di due entità, di due soggettività e di due mondi, spesso molto lontani e molto diversi l’uno dall’altro. Le nostre diversità sono scritte nella storia di ciascuno di noi, nel nostro copione di vita, ed è con questo bagaglio che ci approcciamo all’altro quando iniziamo una relazione. E per relazione possiamo intendere anche il più banale scambio comunicativo.
Non è sempre facile comunicare le nostre intenzioni, le nostre opinioni ed il nostro sentire all’altro: spesso ci si sente frustrati, irritati, non compresi o attaccati. La relazione si costruisce nella direzione sbagliata e, ancor prima di avvicinarci all’altro, ci siamo già allontanati. Spesso capita che ci si allontana anche dal nostro vero sentire, pur di non entrare in conflitto manifesto o latente, con l’altro.
Partiamo da una situazione esemplificativa da cui iniziamo ad esplorare i diversi modelli di relazione che possono esplicarsi nella comunicazione interpersonale e, in generale, nell’incontro con l’altro.
Luca e monica sono al ristorante, si domandano se il cameriere si sia dimenticato di loro, se li stia deliberatamente ignorando o se sia semplicemente molto occupato. Passata mezz’ora, non si e’ancora fatto vedere al loro tavolo, e temono di far tardi a teatro….”
Confusione, rabbia e impotenza
Sono alcune delle sensazioni che facilmente possono insorgere in noi in situazioni come queste…
Come poter comunicare le nostre sensazioni e il nostro pensiero quando ci si sente tanto frustrati?
Come reagiamo quando qualcuno ci critica, ci interrompe, o pretende da noi più di quanto possiamo offrirgli?
Solitamente le reazioni sono due: – Ci difendiamo con frasi del tipo “Non è colpa mia…”, “Ho fatto del mio meglio…”- Attacchiamo con frasi tipo “Cosa dovrei dire io quando tu..?.”, “Senti chi parla…”
In situazioni come queste, quando c’è bisogno di far capire agli altri che c’è qualcosa che non va, salvaguardando la dignità di tutti, spesso c’è chi “manda giù”, non dicendo niente e ritrovandosi poi con una gran rabbia dentro, e chi, invece, “aggredisce” l’altro, nel tentativo di punirlo e di riacquistare una posizione di forza.
Si tratta di due atteggiamenti relazionali opposti, ma che non portano a costruire una relazione sana né con l’altro né tanto meno con sé stessi.
Ricordiamoci che, secondo il modello analitico transazionale, il modo in cui costruiamo le relazioni con gli altri è specchio del modo in cui ci relazioniamo con noi stessi.
Tornando alle due tipologie di reazioni, possiamo affermare che chi si difende adotta un atteggiamento relazionale che definiamo passivo, mentre chi attacca l’altra ha tendenzialmente uno stile aggressivo.
Mettiamo a confronto questi due stili relazionali.
Caratterisitiche del tipo aggressivo
L’istrice
Il soggetto con questo stile è una persona che non rispetta i limiti degli altri; è concentrato sui propri desideri senza badare a coloro che gli sono intorno. La tendenza è quella di dominare gli altri e l’unico obiettivo che si pone è il potere personale e sociale. Alla base di questo tipo di comportamento vi sono ancora delle componenti d’ansia accompagnate però da rabbia e ostilità, nella errata convinzione che per “poter essere visto ed ascoltato devo necessariamente prevaricare gli altri”. Il tipo aggressivo antepone sé stesso ai bisogni degli altri: “Io vinco, tu perdi”.
Lo stile espressivo è inequivocabile, e decisamente funzionale allo scopo: tono autoritario, ritmi rapidi (che lasciano poco spazio alla riflessione, specie quella di chi ascolta), tendenza a sovrapporsi all’interlocutore, forte presenza del pronome “io”, pioggia di accuse, domande minatorie, opinioni presentate come fatti e richieste come doveri; il tutto sovente infarcito di sarcasmo.
Non bisogna pensare che quest’atteggiamento sia esclusivo dei caratteri di base più aggressivi e prepotenti; a tutti (anche ai più calmi) capita, a volte, di adottarlo in particolari circostanze, e per alcuni di noi può anche essere una reazione costante e automatica quando viviamo stati di rabbia e tensione. Ciò dipende da come abbiamo imparato, in passato, a gestire queste situazioni. Le conseguenze relazionali sono facilmente immaginabili: se di fronte ad un interlocutore timoroso avremo dei vantaggi immediati, riuscendo ad imporre la nostra volontà, a lungo termine persistendo in quest’atteggiamento è probabile che collezioneremo attorno a noi malumori, insoddisfazioni, inimicizie, rabbia inespressa, rapporti basati sul timore e sui sensi di colpa, e ovviamente, rottura di relazioni, creando attorno a noi un clima di tensione e rifiuto.
Caratteristiche del tipo passivo
Lo zerbino
Il soggetto con uno stile di comunicazione passivo, nel tentativo di assecondare gli altri per evitare il conflitto, subisce spesso le situazioni senza opporsi. Il suo obiettivo è ottenere il consenso di tutti ed evitare qualsiasi forma di contrasto con gli altri. Questo atteggiamento può poggiarsi sulla convinzione che il proprio punto di vista ed il proprio sentire non abbiano valore, onde per cui li svaluta, non li riconosce e non li espone. Sottende il pensiero “io perdo, tu vinci, ma non farmi male”. Il tipo passivo antepone gli altri ai propri bisogni.
In questo caso lo stile espressivo è ricco di affermazioni vaghe, brevi, ripetitive e incompiute; il pronome “io” compare poco, ma in compenso sono frequenti i richiami ai propri doveri e le espressioni di giustificazione, autocommiserazione e minimizzazione dei propri bisogni. Così facendo, si tende ad esaurire in fretta la conversazione (ed a sottrarsi con rapidità alla situazione ansiogena del confronto) evitando momentaneamente il conflitto; talvolta si attirano anche la simpatia e la benevolenza altrui, e in certi casi si finisce persino a dominare dal basso, attraverso la manipolazione e/o la colpevolizzazione dell’altro.
Nel breve termine questo tipo di atteggiamento è utile per ridurre l’ansia, ma finisce col limitare notevolmente la capacità dì azione della persona. Inoltre la mancata espressione di sé stessi può portare a sedimentare frustrazione e rabbia, che poi vengono espresse in maniera poco funzionale alla relazione. Persistendo in quest’atteggiamento, infatti, i problemi interpersonali non si affrontano mai e tendono ad aggravarsi, con ripercussioni molto negative sulla propria autostima, ed aumento della possibilità di scivolare, da un momento all’altro, nello stile aggressivo.
L’assertività
Fra queste due estreme modalità relazionali e di comunicazione, chiaramente poco adatti a creare buoni rapporti, esiste una via di mezzo: l’ “assertività.”
Questa parola viene dal latino “ad serere”, condurre a sé.
L’assertività è un’attitudine che permette di definire chiaramente il proprio obiettivo o la propria posizione, di svelarla senza ambiguità, di difenderla senza aggressività, pur ammettendo un diverso atteggiamento da parte degli altri.
L’assertività comporta l’esistenza di tre componenti fondamentali in chi la esercita:
- APERTURA ALL’ALTRO (attenzione, ascolto e comprensione)
- CAPACITA’ DI ESPRIMERE IL PROPRIO PUNTO DI VISTA
- RISPETTO DI SE’ E DEGLI ALTRI
Riguarda non i pensieri e le intenzioni, ma il MODO in cui si esprimono.
E’ quindi considerato un “MODELLO di comportamento interpersonale”, capace di garantire non soltanto un ragionevole livello di civiltà tra le persone ma, nel contempo, uno stato di BENESSERE emotivo per coloro che lo attuano.
Un esempio…in pratica
Siamo in un pomeriggio della prima calda giornata estiva dell’anno: il condizionatore dell’ufficio è acceso da alcune ore ma non tutti gradiscono il livello di ventilazione e temperatura che si è creato.
Come potrebbero porsi, nella relazione con gli altri, una persona tendenzialmente passiva (o “zerbino”) e al contrario un persona con atteggiamento aggressivo (“istrice”)?
“Istrice”: “E’ possibile che in ufficio il condizionatore debba essere sempre acceso? Quante volte vi devo dire che a me dà fastidio?”
“Zerbino”:“Per il condizionatore, fate pure come volete, io mi adeguo”.
L’istrice, con un atto di assunzione di forza, probabilmente all’inizio otterrà ascolto e verrà assecondato nella sua richieta, ma a lungo andare susciterà i malumori e le ire dei suoi colleghi. Lo zerbino, collezionerà bollini di rabbia, mettendo daparte le proprie esigenze.
Vediamo quale potrebbe essere una affermazione di tipo assertivo che rispetti le tre componenti suddette:
“Propongo di definire degli orari di accensione del condizionatore in modo da mantenere una temperatura gradevole per tutti!
Per quanto mi riguarda è sufficiente che rimanga acceso nelle due ore più calde del pomeriggio, quando il sole è proprio davanti alle nostre finestre.
Quali sono le vostre esigenze?”
Questa frase è un esempio di comunicazione assertiva. Infatti chi parla comunica rispettandone quattro principi fondamentali:
- afferma le proprie esigenze
- le presenta in modo psicologicamente corretto
- è disponibile a confrontarsi con le esigenze altrui
- non entra in conflitto.
IO VINCO, TU VINCI
IO VINCO, TU VINCI: si tutelano i propri bisogni e si rispetta il punto di vista dell’altro; si offre spazio sia ai propri argomenti che a quelli dell’altro.
I livelli dell’assertività: cosa può facilitare l’assunzione di un atteggiamento assertivo?
L’assertività si struttura in cinque livelli ognuno dei quali ne definisce un aspetto.
Il primo livello è costituito dalla capacità di riconoscere le emozioni, il cui obiettivo riguarda l’autonomia emotiva e la percezione delle emozioni senza il coinvolgimento negativo legato alla presenza di altre persone (arrossire, balbettare, vergognarsi, ecc.).
Il secondo livello è costituito dalla capacità di comunicare emozioni e sentimenti, anche negativi, attraverso molteplici strumenti comunicativi; riguarda la libertà espressiva, il controllo delle reazioni motorie senza che queste siano alterate o inibite dall’ansia e dalla tensione.
Al terzo livello troviamo la consapevolezza dei propri dirittie la capacità di avere rispetto per sé e per gli altri. Ciò ha un ruolo centrale nella teoria dell’assertività in quanto la distinzione tra i comportamenti aggressivi, passivi e assertivi si fonda sui diritti e sul principio di reciprocità.
Il quarto livello è rappresentato dalla disponibilità ad apprezzare se stessi e gli altri(come dice Berne io sono ok tu sei ok).
Essere assertivi
Essere assertivi significa…
- tenere un comportamento partecipe e proattivo, non reattivo
- avere un atteggiamento responsabile e fiducioso verso se stessi e gli altri
- essere capaci di affermare i propri diritti riconoscendo quelli degli altri
- cercare di non essere giudicanti verso situazioni o persone
- essere in grado di comunicare in situazioni di confronto in maniera chiara e diretta ma non aggressiva
Essere assertivi serve a:
- Parlare in pubblico o con persone con cui non si ha famigliarità
- Fare richieste, chiedere favori
- Far valere i propri diritti, farsi rispettare
- Esprimere emozioni negative, lamentele, risentimenti, critiche, disaccordo o il desiderio di essere lasciato in pace
- Rifiutare richieste, dire di no
- Esprimere emozioni positive, di gioia, orgoglio, attrazione, piacere.
- Fare complimenti
- Accettare i complimenti degli altri, senza negare o minimizzare
- Chiedere spiegazioni, chiarimenti
- Mettere in discussione gli atteggiamenti autoritari o basati sulla tradizione
- Conversare in maniera sicura e rilassata, esprimendo e condividendo opinioni, emozioni, esperienze
- Affrontare le seccature, i conflitti, lo stress sociale…