La relazione terapeutica è vista come un accordo continuo tra terapeuta e cliente, i quali hanno una responsabilità congiunta nel lavorare per raggiungere gli obiettivi di terapia definiti in modo chiaro e specifico.
“Il paziente viene quindi responsabilizzato dall’inizio a porsi come controparte attiva di un professionista il cui compito non è quello di risolvere i problemi del paziente, bensì quello di aiutare a comprendere come finora si è bloccato dal risolverli da solo.” (Novellino, 1998).
I contratti di terapia, attraverso i quali viene specificamente stabilita la meta della terapia, possono essere distinti in contratti di controllo sociale e contratti di autonomia.
I contratti di controllo sociale(terapia breve) sono accordi di terapia tesi a risolvere un problema specifico e hanno come obiettivo un cambiamento comportamentale e il suo mantenimento nel tempo.
Per contratti di autonomia(terapia che può richiedere anni) si intendono, invece, quei contratti in cui la meta della terapia non è solo un cambiamento comportamentale ma un cambiamento del “copione” della persona, per cui la terapia non è rivolta solo ad un sollievo dai sintomi, bensì alla ristrutturazione della personalità.
Per spiegare questa differenza usiamo una metafora ideata da Berne: ciascun individuo nasce principe o principessa ed esperienze negative precoci convincono alcune persone ad essere ranocchi, da ciò deriva lo sviluppo della patologia. Gli obiettivi terapeutici possono essere due: il primo tende al miglioramento, ad un progresso che equivale ad uno star meglio come ranocchi; il secondo tende a curare, a guarire che significa togliersi la pelle del ranocchio e riprendere nuovamente lo sviluppo interrotto del principe o della principessa.
Lo psicoterapeuta che usa l’Analisi Transazionale guida il cliente ad osservare i propri comportamenti, ad ascoltare le proprie emozioni, a chiarire i propri pensieri, e attraverso la loro integrazione, a costruire i significati per spiegare i fatti della propria vita.
Il cliente scopre a poco a poco che tutto ha un senso; che anche i comportamenti più “strani” e apparentemente “disfunzionali” hanno una loro ragion d’esistere, ed è per questo che persistono.
Solo dopo aver chiarito la funzione nascosta dei comportamenti “apparentemente disadattivi”, la persona può scegliere liberamente di continuare ad agire nel modo familiare o cambiare.
Se il cliente sceglie di mantenere la stessa decisione, si sente comunque più libero rispetto al passato; se opta per una nuova decisione, il percorso terapeutico và avanti nella direzione di individuare nuove modalità d’azione, sperimentarle, con la certezza di avere a disposizione “un porto sicuro” su cui tornare per trovare accoglienza, comprensione, confronto critico.
Compito del terapeuta è quindi accompagnare la persona ad apprendere nuove modalità per gestire la nuova realtà, e a sviluppare le proprie sensazioni in modo da “gustare” le esperienze nuove.